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Giurisprudenza della Segnatura Apostolica in materia contenzioso-amministrativa
 
 

Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica
Sententia definitiva del 22.06.2002, Prot. N. 31290/00 CA


Parte attrice Rev.dus X
Parte convenuta Congregatio pro Institutis vitae consecratae et Societatibus vitae apostolicae
Diocesi Bogoten.
Oggetto Dimissionis
coram Coccopalmerio
Pubblicazione W.L. Daniel, Ministerium Iustitiae, 299-325
P.V. Pinto, Diritto amministrativo canonico, 505-512
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Traduzioni angl., W.L. Daniel, Ministerium Iustitiae, 299-325
angl., SCL 3 (2007) 351-365
Contenuto Constat de violatione legis sive in procedendo sive in decernendo.
Note Cf. etiam prot. n. 38588/06 CA.
Fonti 
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Legenda
 
Canoni del Codice 1983
Sono riportati nelle fonti tutti i canoni che si leggono nella parte in iure e nella parte in facto delle decisioni.
Sono riportati in grassetto i canoni che costituiscono l’oggetto principale della decisione o sui quali la decisione enuncia un principio di interpretazione.
Sono riportati in corsivo i canoni del Codice 1983, che
- non appaiono nel testo della decisione ma dei quali la decisione tratta;
- sono corrispondenti a canoni del Codice 1917, dei quali la decisione, anteriore al 1983, tratta.

Altre fonti
Sono riportate tutte le fonti che si leggono nella parte in iure e nella parte in facto delle decisioni.
CIC cann. 695 § 1; 695 § 2; 696; 1395 § 1
Massime
1. Ad sodalem dimittendum ad normam can. 695, § 1 cum can. 1395, § 1 collati, ob peccatum contra sextum Decalogi praeceptum, satis non est probare quandam affectivam eius relationem nec eiusdem vita relationalem voto castitatis haud conformem: necesse est peccatum externum contra sextum Decalogi praeceptum probare.
1. Per la dimissione di un religioso a norma del can. 695, § 1 collegato con il can. 1395, § 1, per un peccato contro il sesto comandamento, non è sufficiente provare una qualche sua relazione affettiva né una sua vita di relazione non conforme al voto di castità: è necessario provare un peccato esterno contro il sesto comandamento.
2. Ut sodalis dimitti possit ad normam can. 695, § 1 cum can. 1395, § 1 collati, utpote in peccato externo contra sextum Decalogi praeceptum permanens, non sufficit unus actus vel duo: actuum series seu eorum repetitio requiritur; per se non exigitur quod persona vel personae, cum qua vel quibuscum actus ponuntur, semper eadem sit vel eaedem sint. Requiritur, tamen, ut actus ipsi sint quidem eiusdem generis, idest praecise contra sextum Decalogi praeceptum.
2. Per dimettere un religioso a norma del can. 695, § 1 collegato con il can. 1395, § 1, ossia in quanto permanente in un peccato esterno contro il sesto comandamento, non è sufficiente provare uno o sue atti: si richiede una serie di atti ossia la loro ripetizione; per se non si esige che la persona o le persone, con la quale o con le quali si pongono gli atti, sia sempre la medesima o siano sempre le medesime. Si richiede invece che gli atti siano dello stesso genere, ossia precisamente contro il sesto comandamento.
3. Scandalum de quo in can. 1395, § 1 relate ad dimissionem sodalis de qua in can. 695, § 1, habetur si plerique, qui personam eiusque munus activitatemque noscunt, impressionem negativam patiantur, idest ad male quodammodo inducantur.
3. Lo scandalo di cui al can. 1395, § 1 relativamente alla dimissione di un religioso di cui al can. 695, § 1, si verifica se più persone, che conoscono la persona [del religioso] e il suo ufficio e la sua attività, ne patiscono un’impressione negativa, ossia che in certo modo li indica al male.
4. Facultas sese defendendi de qua in can. 695, § 2 cognitionem affirmationum testium necessario praesupponit, quippe quae per se idonea censeantur ad gignendam certitudinem moralem, sodalem delictum patrasse: hoc tantum modo datur facultas sese defendendi, id est possibilitas offerendi elementa quae affirmationes testium falsas demonstrare valent seu attestationibus contradicendi.4. La facoltà di difendersi di cui al can. 695, § 2 presuppone la conosceza delle affermazioni dei testimoni, quelle appunto che di per sé si ritengono idonee a generare la certezza morale, che il religioso ha commesso il delitto: solo così si dà la facoltà di difendersi, ossia la possibilità di presentare elementi che siano in gradi di dimostrare la falsità delle affermazioni ovvero di contraddire alle attestazioni.

Autore delle massime in lingua latina e della traduzione in lingua italiana: © G. Paolo Montini